LA CORTE D'APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile n. 1227/88 r.g. promossa da Ricco Raffaele, residente in Aosta, elettivamente domiciliato in Torino, piazza A. Peyron 5, presso lo studio dell'avv. Umberto Giardini che lo rappresenta e difende in forza di procura 28 luglio 1988 in atti, ricorrente contro Vesan Silvano, residente in Chatillon (Aosta), elettivamente domiciliato in Torino, via L. Mercantini, 6, presso lo studio del prof. avv. Andrea Comba, che lo rappresenta e difende, con poteri disgiunti, unitamente all'avv. Carlo Piccini del Foro di Genova, per procura speciale in atti, resistente, regione autonoma della Valle d'Aosta, in persona del presidente pro-tempore, non comparsa, resistente contumace. Con deliberazione 27 luglio 1988 il consiglio regionale della Valle d'Aosta convalidava l'elezione del consigliere Vesan Silvano, presentatosi alle elezioni nella lista della Democrazia Cristiana. Con ricorso, depositato il 3 agosto 1988, Ricco Raffaele, assumendo di essere il primo escluso, avendo conseguito 1236 voti di preferenza chiedeva la decadenza dalla carica del Vesan, perche' costui solo dopo il 22 luglio 1988 ha dato le dimissioni dalla carica di Presidente del Consiglio di amministrazione della Finaosta S.p.a., le cui azioni sono in maggioranza di proprieta' della regione. Si costituiva in giudizio il Vesan e chiedeva la reiezione del ricorso, per inesistenza delle cause di ineleggibilita' dedotte dal ricorrente. In via subordinata il Vesan eccepiva l'illegittimita' costituzionale dell'art. 6, secondo comma, della legge 5 agosto 1962, n. 1257, nella parte in cui pone la data di accettazione della candidatura come tempo limite per la rimozione delle cause di ineleggibilita' previste nel precedente comma del medesimo articolo di legge. Questa Corte ha gia' sollevato la questione di legittimita' costituzionale della norma di legge che attribuisce la giurisdizione in primo ed unico grado alla Corte d'appello di Torino, perche' e' apparsa palesemente viziata in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 51, primo comma, della Costituzione, in quanto i consiglieri della Valle d'Aosta vengono privati di un grado di giurisdizione, mentre la legge generale 23 aprile 1981, n. 157, art. 7, sesto comma, assicura il doppio grado di giurisdizione ai consiglieri delle altre regioni a statuto normale. Questa questione appare preliminare ed assorbente, perche' concerne la giurisdizione-competenza di questa Corte. Infatti nei casi normali (v. le leggi 23 dicembre 1966, n. 1147, e 23 aprile 1981, n. 157), questo organo collegiale difetta di giurisdizione-competenza, se adito come giudice di primo ed unico grado. Inoltre appare necessario adire la Corte costituzionale, perche', in primis, la questione di cui sopra si appalesa rilevante ai fini della decisione; ed invero, se fosse introdotto il doppio grado di giurisdizione, attraverso l'abrogazione in parte qua della legge 5 agosto 1962, n. 1257, questa Corte dovrebbe dichiarare il difetto di giurisdizione-competenza a conoscere della causa come giudice di primo ed unico grado. D'altra parte la questione in oggetto neppure puo' ritenersi manifestamente infondata, apparendo incontrovertibile secondo gli attuali orientamenti della dottrina e della giurisprudenza la disparita' di trattamento, che, come si vedra', risultera' del tutto irragionevole ed ingiustificata. A questo punto appare opportuno, per meglio chiarire la questione, richiamare la giurisprudenza che in ordine al principio di uguaglianza si e' formata nel corso di questi anni: "Al fine di valutare se una legge sia o meno in contrasto con il principio di uguaglianza non basta accertare che la stessa sia in contrasto con i precetti inderogabili posti nel primo comma dell'art. 3 della Costituzione, giacche' detto principio e' violato anche quando la legge, senza un ragionevole motivo, faccia un trattamento diverso ai cittadini che si trovino in eguali situazioni" (Corte costituzionale 29 maggio 1960, n. 15, in giur. cost. 1960, 147); "Il principio di uguaglianza di trattamento tra eguali posizioni e' espressione del canone di coerenza dell'ordinamento giuridico" (Corte costituzionale 30 novembre 1982, n. 204, in giur. cost. 1982, I, 2146); "Il principio di uguaglianza formale, sancito nell'art. 3, primo comma, della Costituzione, impone al legislatore di assicurare ad ognuno eguaglianza di trattamento, quando eguali siano le condizioni soggettive ed oggettive alle quali le norme giuridiche si riferiscono per la loro applicazione" (Corte costituzionale 26 gennaio 1957, nn. 3 e 28, in giur. cost. 1957, 5 e 398); "Ove le situazioni siano omogenee, il loro trattamento deve essere uniforme, ove non sussistano fondate ragioni per differenziarlo" (Corte costituzionale 26 luglio 1979, n. 83, in giur. cost. 1979, I, 640; Corte costituzionale 25 marzo 1976, n. 57, in foro it. 1976, I, 1794); "L'art. 3 della Costituzione, vieta disparita' di trattamento di situazioni simili e discriminazioni irragionevoli" (Corte costituzionale 25 giugno 1980, n. 96, in giur. cost. 1980, I, 746); "C'e' violazione del principio di uguaglianza quando, di fronte a situazioni obiettivamente omogenee, si ha una disciplina giuridica differenziata, determinante discriminazioni arbitrarie e ingiustificate" (Corte costituzionale 25 giugno 1981, n. 111, in giur. cost. 1981, I, 974); "Il principio di uguaglianza postula l'omogeneita' delle situazioni giuridiche messe a confronto e pertanto non puo' essere invocato quando trattasi di situazioni intrinsecamente eterogenee: in tal caso, invero, una disciplina differenziata non puo' essere ritenuta arbitraria, in quanto giustificata dalla diversita' su detta" (Corte costituzionale 26 ottobre 1982, n. 171, in giur. cost. 1982, I, 1739). Nel caso di specie le situazioni sono perfettamente omogenee, non sussiste alcun ragionevole motivo (non certo ravvisabile, nella materia, per trattarsi qui di regione a statuto speciale, anziche' ordinario), perche' abbiamo una disciplina differenziata, ed appare logico ritenere che quella vigente sia rimasta tale solo ed esclusivamente per una dimenticanza del legislatore. In buona sostanza, gli artt. 22 e 33 della legge statale 5 agosto 1962, n. 1257, ricalcano, sotto il profilo del contenzioso in materia di ineleggibilita', la disciplina generale prevista dalla legge 7 ottobre 1947, n. 1058, contenente norme per la disciplina dell'elettorato attivo e per la tenuta e la revisione annuale delle liste elettorali, legge, cui l'art. 33 fa esplicito rinvio. Cioe' il legislatore del 1962 non ha fatto che estendere alla Valle d'Aosta la disciplina generale allora vigente, perche', ovviamente non sussisteva alcun ragionevole motivo per dettare una disciplina differenziata. Orbene il legislatore del 1968 (legge 17 febbraio 1968, n. 108) e quello del 1981 (legge 23 aprile 1981, n. 157) nell'estendere alle elezioni delle regioni a statuto normale il nuovo contenzioso elettorale amministrativo, introdotto e disciplinato dalla legge 23 dicembre 1966, n. 1147, non sembrano essersi avveduti che la regione Valle d'Aosta rimaneva con un contenzioso obsoleto, comunque meno garantista del nuovo contenzioso generale amministrativo. Cioe' i due legislatori non prevedevano, e cio' senza alcun ragionevole motivo, l'estensione del nuovo contenzioso alla Valle d'Aosta. E pertanto sotto questo profilo la legge 17 febbraio 1968, n. 108, all'art. 19 e la legge 23 aprile 1981, n. 154, all'art. 7 appaiono viziate di illegittimita' costituzionale, con riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione; di riflesso, ed e' cio' che qui interessa, appare viziato l'art. 27 della legge n. 1257/1962.